CONTESTAZIONI DISCIPLINARI, FABI BATTE INTESA

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Fabi batte Intesa

La Fabi batte Intesa Sanpaolo in giudizio. La Corte d’appello di Trieste, confermando il giudizio di primo grado, ha dato ragione a un lavoratore del gruppo bancario, iscritto della Fabi e assistito, in particolare, dal Sab Federazione di Udine.  

La questione decisa da giudici triestini, con una sentenza dello scorso 6 giugno e depositata il 12 agosto, riguardava un dipendente di Intesa Sanpaolo al quale, nel 2009, era stata applicata una sanzione disciplinare: quattro giorni di sospensione dal servizio e dal trattamento economico.

La vicenda riguardava presunte irregolarità relative alla «tempistica per l’anticipo ai clienti di fatture presentate per lo sconto e al frazionamento del rischio». Secondo la contestazione della banca, che i giudici di primo e secondo grado hanno ritenuto illegittima, il dipendente avrebbe «violato le disposizioni dell’Ufficio crediti oltre che omesso di notiziare in modo tempestivo i debitori ceduti dal cliente» e «avrebbe consentito l’anticipo di fatture in cui era prevista come scadenza la data di emissione, mettendo così a disposizione del cliente un importo che era, o avrebbe dovuto essere, già stato pagato».

Di qui la contestata violazione delle disposizioni dell’Ufficio crediti della banca che, per i legali del gruppo, avrebbe configurato gravissimi inadempimenti legati al rapporto di lavoro, paventando addirittura illeciti penali. Una tesi smontata dall’avvocato del lavoratore, Fabrizio Dalla Costa, e poi respinta dal tribunale di primo grado (Udine) il 12 marzo 2018 e poi dalla Corte d’appello di Trieste il 6 giugno 2019.

Secondo i giudici «l’ipotesi che il lavoratore abbia commesso qualche reato non può nemmeno essere presa in considerazione» poiché la contestazione è arrivata fuori tempo massimo. Né è possibile riconoscere la violazione di specifiche norme interne di carattere tecnico né quelle riconducibili all’etica e alla morale», nonostante l’affissione del codice disciplinare aziendale.

I giudici di secondo grado, entrando poi nel merito della vicenda e confermando la tesi del giudizio di “prime cure”, hanno fatto riferimento a «inesplicati margini di tardività» del rimprovero mosso alla lavoratrice «a fronte del costante monitoraggio sul venduto da parte del direttore della filiale e della sua giornaliera condivisione con i collaboratori all’esito della giornata commerciale».

Intesa Sanpaolo è stata anche condannata a risarcire integralmente le spese processuali.

Roma, 19 agosto 2019